Di Gianluca Cinelli
«Un ufficiale tedesco, tutte le mattine alla stessa ora, usciva dalla caserma di San Rocco, e seguendo sempre lo stesso itinerario raggiungeva la strada che unisce il santuario della Madonna degli Angeli alla cappella della Crocetta. Nei pressi di Tetto Graglia c’è una stradina che scende lungo la ripa e poi si perde nella striscia di terra compresa tra l’altopiano e il greto del Gesso. Il tedesco imboccava questa stradina, superava il sottopassaggio della ferrovia Cuneo-Borgo, poi si inoltrava nell’aperta campagna.
Era un uomo tranquillo, sembrava una brava persona. A volte sostava sull’aia della nostra cascina, dove scambiava qualche parola con i bambini. La gente non lo temeva, si era abituatata a vederlo comparire sempre alla stessa ora.
Un mattino quel tedesco venne ucciso, non si è mai saputo da chi, poco lontano dalla nostra casa.»
Così un contadino del Cuneese raccontò negli anni Ottanta a Nuto Revelli, impegnato allora a raccogliere testimonianze per le sue ricerche sulla cultura rurale, una delle storie più strane che lo scrittore avesse mai sentito, «troppo leziosa per essere autentica», una storia insolita che «introduceva una nota di disordine nell’ordine delle [sue] certezze.»
Nuto Revelli aveva combattuto contro i tedeschi come comandante partigiano sulle montagne del Cuneese tra il 1943 e il 1945, e aveva incontrato precedentemente i tedeschi durante la campagna di Russia nel 1942-1943. Aveva assistito alla violenza del regime hitleriano, vedendo la condizione miserabile degli ebrei durante li lungo viaggio attraverso l’Europa occupata. In Russia aveva visto la crudeltà di quegli alleati e della loro guerra di sterminio. Così, alla fine della guerra, Revelli si ritrovò con un fardello di odio profondo nei confronti del popolo tedesco, che l’avrebbe condizionato a lungo.
Poi, alla metà degli anni Ottanta, s’imbatté per caso nella strana storia del soldato tedesco disperso alle porte di Cuneo in un giorno d’estate del 1944. Un tedesco buono, un giovane che non recava violenza ma che al contrario parlava con gli anziani e regalava caramelle ai bambini. Un tedesco a cavallo che sembrava un’apparizione fantastica nel cuore di una guerra feroce.
Nuto Revelli si appassionò per la storia di questo disperso perché provava pietà per lui. Pensava ai dispersi italiani rimasti in Russia, ai molti che lui stesso aveva dovuto abbandonare laggiù durante la ritirata. Pensava che lui stesso avrebbe per un nulla potuto rimanere disperso a sua volta. E ricordava il dolore insostenibile che le famiglie dei dispersi provavano, per averlo conosciuto negli anni in cui visitava le cascine del Cuneese, raccogliendo storie di vita contadina.
Così, Revelli iniziò a immaginare che questo giovane tedesco fosse diverso dagli altri, un ufficiale stanco di guerra, reduce del fronte russo, un uomo simile a lui. Per dieci anni condusse ricerche che dalla raccolta di testimonianze orali nelle campagne del Cuneese si estese gradualmente agli archivi di Roma e poi di Friburgo, dove il giovane storico Carlo Gentile riuscì a scoprire l’identità del disperso nei registri della Wehrmacht. Dopo dieci anni, il disperso misterioso si vide restituita la propria identità, ricevendo una simbolica sepoltura pietosa, quasi come un riscatto dal suo destino infelice.
Il disperso di Marburg racconta una ricerca appassionante durata dieci anni, nella quale Revelli si impegnò come storico e come testimone, lottando contro i propri fantasmi e riuscendo infine a riconciliarsi in parte con quei tedeschi che tanto a lungo aveva odiato. Da questa ricerca scaturì la sua amicizia con lo storico di Brema Christoph Schminck-Gustavus e con l’italianista di Marburg Bodo Guthmüller.
Revelli lascia con questo libro una testimonianza di profonda umanità e di lucida consapevolezza storica, insieme con il rifiuto di ogni guerra.
Il disperso di Marburg racconta l’avventura della riconciliazione con se stessi e ricorda che il dialogo è il risultato di un lungo processo di avvicinamento reciproco, di là dai pregiudizi. Con il merito di non scadere mai in quell’odioso revisionismo che proprio a partire dagli anni Novanta in Italia s’è sforzato di confondere i morti, di appianare la differenza tra criminali e resistenti. Un libro europeo, un libro per il futuro, sempre vivo e attuale, pieno di pietà e di rispetto, di consapevolezza e di onestà. Un libro contro la deriva dei nostri tempi che dovrebbe essere riletto e riscoperto anche per la sua eccezionale levatura letteraria.