Le molte vie della ricerca – II

La revisione dell’ipotesi

Di Gianluca Cinelli

Un’ipotesi è un’intuizione rinfrescante. È un raggio di sole in una giornata grigia dal cielo piatto. Ti rincuora, ti anima con il suo carico di promesse, ti fa sentire che non è ancora detta l’ultima parola. Certo, anche i sogni a occhi aperti fanno un effetto simile. Entrambe le operazioni mentali si fondano su un “se” e possono essere ragionevoli e semplici, quanto ambiziosi e campati in aria. La vera differenza sta nel tipo di gioco che si vuol fare. Nel caso delle fantasticherie, ci si accontenta di un vivere un momento di diversione, magari di sollievo, si lascia che la mente sia attraversata da una tangente colorata e rumorosa, come un corteo che attraversi una via del centro in un pomeriggio uggioso. Si può restare un po’ lì a guardarlo passare, ma non scendiamo nel flusso della gente, lo guardiamo sfilare e lo lasciamo andare così come è venuto. L’ipotesi ha di diverso che ci visita come risposta a una domanda più o meno complicata, ci aiuta a mettere a fuoco un problema. È un ometto zelante che ci segue mentre camminiamo avanti e indietro per la stanza, in cerca di risposte che non arrivano, e ci parla nell’orecchio di sue idee, proposte, visioni, “si potrebbe pensare che…”, “si potrebbe tentare questo…”, “bisognerebbe verificare se…”, e parla, parla, parla, per impedirci di perdere di vista il problema. In fondo lo fa per noi, anche se talora ci irrita. Quell’ometto, quando davvero intendiamo capire qualcosa o risolvere un problema, dobbiamo prenderlo sul serio, e proprio perché con lui giochiamo al gioco del metodo, ciò implica che prendiamo un impegno. Nel momento in cui raccogliamo la sfida dell’ipotesi non ci limitiamo a crogiolarci in un “se” affascinante, bensì prendiamo la cosa sul serio per farne qualcosa di buono. A differenza della fantasticheria, l’ipotesi è sempre un segnavia, una soglia che ci appare di colpo mentre vaghiamo in cerca di rotta, e che sta a noi decidere se imboccare o meno per vedere se davvero ci porterà dove vogliamo andare. Il modo in cui si raccoglie la sfida dell’ipotesi è simile al mettersi in pericolo quando decidiamo di intraprendere qualcosa di cui non abbiamo certezza. Perciò un’ipotesi di lavoro è una premessa concreta su dove siamo e cosa abbiamo per approntarci all’avventura, e un’idea di cosa vorremmo trovare alla fine del percorso. Come si vede, mettersi sulla via della ricerca partendo da un’ipotesi è un’esperienza che richiede intenzione, intelligenza, carattere, metodo, tenacia. L’ipotesi però, dicevo, implica un impegno ben preciso: quello di non dimenticarla mai. La ricerca si differenzia in ciò da altre esperienze di vita meramente progressive, per cui si inizia, si esperisce, si riesce o si fallisce senza voltarsi indietro. Nella ricerca, invece, si avanza in modo strano, come quei camaleonti che sul ramo fanno un passo avanti e due indietro e sembra che siano dolorosamente insicuri e perplessi. Nella ricerca ogni passo chiede di arrestarsi e voltarsi all’ipotesi, come il cane che corre avanti, ma si ferma di tanto in tanto e si gira a controllare che il padrone sia sempre lì. Il ricercatore non può partire e perdersi, perché quella non è ricerca, piuttosto è la vita. Il ricercatore deve sapere dove va, deve immaginarsi una via (il metodo) e un approdo (il risultato), ma per farlo non ha che un punto fisso cui legare tutti i suoi fili e cui riferire tutte le sue triangolazioni: l’ipotesi. Perciò, in un certo senso, la vera ricerca, quella che riesce ed è fruttuosa, procede apparentemente in avanti in forma di progresso (che bel mito!), come un fare e trovare senza sosta. In apparenza, però. In realtà la vera ricerca è un girare in cerchio e tornare sulla domanda di partenza, cioè sull’ipotesi. Sì, perché nell’ipotesi, contenendo questa la domanda fondamentale di ogni ricerca, c’è già anche la risposta. Paradossale? Forse. Ma è il motivo per cui il vecchio Croce sosteneva che porre bene una domanda significa avere già fornito metà della risposta. L’altra metà sta nell’approntare tutti i mezzi, e magari inventarne, per verificare quella risposta. Un ricercatore che procede solo in avanti e non torna a verificare l’ipotesi non è un buon ricercatore. E’ sicuramente un ambizioso prometeico, ma bisogna diffidare dei suoi risultati, per quanto appaiano in apparenza grandiosi e rivelatori. Potrebbero essere casuali, incoerenti, e soprattutto potrebbero non avere più contatto con la domanda iniziale. Il che significa che la ricerca è tecnicamente fallita, perché di ciò che si voleva sapere qualcosa ci si è dimenticati. Per carità, potrebbe essere che si è trovato dell’altro, di meglio e di più (il caso può essere talora una componente gioiosa della ricerca così come della vita). Ciò non toglie che i conti con l’ipotesi devono comunque essere fatti. Il ricercatore deve ammettere di avere fallito se la sua ipotesi di partenza non può essere confermata. Non importa se poi ha trovato qualcosa di sensazionale. Un successo casuale, strettamente parlando, non è ascrivibile nel dominio del merito.

Nella vita le cose stanno diversamente, ma da quanto detto sopra si può comunque ricavare qualcosa di utile. La revisione delle nostre assunzioni e presupposizioni è un atteggiamento costruttivo e positivo in ogni circostanza. In ogni momento possiamo fermarci e chiederci come stiamo procedendo, voltarci indietro e valutare i nostri punti di partenza. Il mito di Teseo e Arianna conserva la sua modernità. In ogni caso ci muoviamo in un labirinto. C’è chi cerca subito il centro, chi vuole attraversarlo tutto; chi vuole farne la mappa, chi si guarda intorno e annota ogni dettaglio; chi non vede l’ora di uscire, chi sta bene dov’è; chi si perde per sempre, chi con metodo inventa sistemi matematici per orientarsi. Pochi sono, però, quelli che ricordano con precisione quando, come e perché hanno deciso di infilarsi nel pasticcio, con quali premesse, con quali prospettive, con quali mezzi. E non smettono mai di assicurarsi che il loro filo sia bene attaccato all’ipotesi, la loro Arianna che li attende là fuori e dalla quale vogliono ritornare, anche se non sempre sanno come e quando, né che cosa succederà quando la ritroveranno, né se il Minotauro li ucciderà prima. Questi pochi, hanno scelto la via della ricerca.

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