Di Gianluca Cinelli

In queste settimane di reclusione forzata torna in primo piano il problema di come impiegare il tempo nella dimensione privata. Ci si è ritrovati di colpo nella condizione di dover riempire di attività e di senso le ore dei giorni trascorsi in casa, per alcuni da soli, per altri in forzata promiscuità.
Intrattenimento, cibo, relazioni sociali, acquisti, sport, anche semplicemente la passeggiata nel parco cittadino sono tra le attività più diffuse cui abbiamo di colpo dovuto rinunciare. In Occidente, la nostra lunga tradizione di individualismo non tollera facilmente le restrizioni della libertà individuale imposte dall’alto per decreto. Eppure è così. Siamo ai limiti della dichiarazione dello stato d’emergenza, con la sospensione dei normali diritti e l’istituzione di regimi di controllo straordinari. In alcuni paesi, in modo piuttosto grottesco, ciò già avviene in modo più o meno confuso, con l’istituzione del coprifuoco.
Molti oggi vivono soli. La casa è spesso il rifugio del riposo, la tana dove si torna alla fine della giornata, solo per cambiarsi, fare una doccia e dunque uscire di nuovo, per una cena con gli amici, o per la palestra, lo sport. In questi giorni tutto ciò è diventato impossibile. Si sta a casa da soli e si deve fare fronte a un’emergenza che non è medica bensì sociale. Ci si scopre isolati. Ciò non dev’essere necessariamente un male. Gli eventi di questi giorni ci ricordano che da soli non ci bastiamo. Tuttavia, essere insieme con gli altri non dovrebbe nemmeno risolversi, come troppo spesso accade nelle abitudini quotidiane dei più, in una generica promiscuità di frequentazioni per ingannare la noia.
Per chi non vive da solo il problema potrebbe apparire opposto. I parenti non sono persone che si è scelto di frequentare, ma con cui si hanno dei legami che, volenti o nolenti, difficilmente possiamo ignorare o sciogliere. Spesso i nostri parenti sono proprio quelle persone con cui non si vorrebbe mai avere niente a che fare. Ma se pure non fosse questo il caso e, poniamo, avessimo la fortuna di trovarci chiusi in casa con persone con cui condividiamo amore e rispetto, comunque le cose potrebbero essere ugualmente difficili.

Possiamo immaginare mesi di reclusione così? No. Non perché ci annoiamo a casa, ma perché presto o tardi ci saranno persone che non potranno non tornare al lavoro, pena non mangiare. E presto le relazioni coatte dei reclusi in situazioni sociali difficili diventeranno insostenibili. E in tutto ciò, il virus se ne infischia delle mezze misure di contenimento. Un virus cessa di diffondersi quando la sua specifica curva di esistenza arriva al termine. Come tutte le cose in natura, anche lui non sa che farsene delle nostre ansie.
Intanto però stiamo così e per un po’ non vedremo miglioramenti di sorta. Chi ne ha i mezzi, si goda casa propria, se ne ha una comoda, abitabile, dotata delle cose di cui ha bisogno per sentirsi lieto e sereno. Chi ha talenti li coltivi, dedicandosi a ciò che ama fare, fosse la musica, il modellismo, la scrittura, l’ikebana, l’origami o quant’altro ancora (ammesso che sia possibile approvvigionarsi di materie prime).

Chi può, trovi in questi giorni ciò che di buono pur ci sarà, e pensi a chi sta peggio in ogni momento di debolezza e di insofferenza. E una cosa, credo, potremo imparare: non certo i rudimenti del patriottismo ipocrita da operetta, bensì l’importanza di vivere il proprio tempo. Qui e ora. Anche dopo, quando saremo oltre la crisi, dovremmo chiederci che cosa fare del tempo che abbiamo, invece di riprendere in affanno lo stile di vita che ora s’è interrotto. Fare per sé: questo è qualcosa da apprendere. Imparare a volersi bene con poche cose essenziali, misurate su noi stessi. Piccoli momenti e gesti significativi, che nel complesso delle nostre esistenze sono un passo verso il regno dello spirito. Non sprechiamo il tempo, come normalmente sprechiamo ogni risorsa di cui disponiamo, credendo nel torto che siano illimitate.