Di Gianluca Cinelli

La paura inizia con le parole. I politici, e a ruota i giornalisti pappagalli, hanno annunciato la campagna di contrasto all’epidemia in tono eroico (in alcuni casi eroicomico, piuttosto): il virus è il “nemico”, meglio se “invisibile”. Siamo in guerra, i medici sono in trincea, la nostra è una battaglia, vincere dobbiamo e vinceremo (in un grottesco connubio postmoderno di Mussolini e Churchill). La prima conseguenza, emotiva e operettistica ma efficace per fare colpo sugli ingenui, è stata l’onda degli italiani, improvvisamente animati da sempiterni impulsi patriottici, che cantavano l’inno nazionale ed esponevano la bandierina tricolore, spesso appesa al contrario, col rosso al posto del verde. Tant’è, la chiamata alle armi è penetrata nelle coscienze.
Il tam-tam ha convinto parecchi che bisogna mobilitarci come sul Piave nel 1918 e organizzare la resistenza contro il nemico. Per chi ha vissuto la guerra, che in Italia è stata anche guerra civile, la differenza dovrebbe apparire abbastanza netta. Ma per chi è nato e cresciuto nel benessere e la guerra l’ha al massimo letta nei libri o vista nei film, questa parola significa molto meno di quello che indica nella realtà. Non siamo in guerra. La guerra è un fatto umano, effetto di pratiche culturali che conducono gli attriti interumani a sfociare in conflitti armati. Nella natura non esiste guerra, soltanto vita e questa si afferma al di là del bene e del male, di là dalle nostre categorie logiche ed etiche. Un virus vive a scapito di altri organismi, così come noi, intesi come specie, viviamo a scapito di altre specie animali e vegetali. E detto sinceramente, credo che di danni al mondo ne facciamo più noi che il Coronavirus. Ma lasciamo stare e torniamo alle parole. Il vocabolo “guerra” suscita fascino e paura, e la politica sa che con questi due strumenti si governa bene e si ha ragione facilmente anche dei più tenaci oppositori. Sì, perché in guerra diventa facile creare “eroi” e accusare altri di vigliaccheria, di codardia, o perfino di tradimento. La scia è lunga e nessuno ha voglia restare impigliato nella brutta macchina della paura.
C’è una seconda grave improprietà linguistica cui assistiamo da settimane, non troppo diversa da quella appena discussa. Numerosi giornalisti hanno pubblicato articoli dove si parla dei contagiati asintomatici, i più temibili e pericolosi, quasi degli untori che senza saperlo continuano a vivere le loro esistenze e così facendo avvelenano gli altri. Così c’è in aria il progetto di estendere i tamponi un po’ a tutti (ma come? Quanti? Boh?), addirittura di fare i test del sangue al fine di sostenere la causa della “guerra” contro il “nemico invisibile”: bisogna “scovare” gli asintomatici, “stanarli” qualcuno ha addirittura scritto. Ma dico, questi giornalisti che campano usando le parole, è possibile che non si rendano conto di come barbaramente ne abusano? Si stana un ladro, un latitante, una belva che si vuole ammazzare. Si scova un delinquente nascosto, un mafioso che ha appunto il suo “covo”. Questo linguaggio terroristico e aggressivo, violento, suscita paura e ira, e innesta nelle coscienze diffidenza e ansia, sollevando sospetto tra i cittadini che, sentendosi già minacciati (dopotutto gli si è ripetuto che sono in guerra con un nemico invisibile), iniziano a scorgere in chiunque non indossi la mascherina (la cui efficacia rimane tuttavia indimostrata) gli untori che propagano il morbo in modo subdolo, una quinta colonna del male infiltrata nella società. Di qui al proliferare degli “spioni” e alla caccia all’untore il passo è più breve di quanto si possa pensare.
Non possiamo farci niente se esistono le infezioni virali nel mondo. È un fatto che rientra nella natura delle cose, ci piaccia o no. Ma l’infezione del linguaggio è del tutto nelle nostre mani. Sarebbe decente se politici e giornalisti smettessero di parlare di guerra e di “stanare” i contagiati asintomatici. Questo non conduce a instillare sentimenti di solidarietà, ma piuttosto a creare un clima di cameratismo, una roba da caserma, da “trincea” (parola che tristemente torna a circolare in questi giorni), che si nutre sempre da una visione del mondo distorta e nociva: noi controloro. Se cediamo al sortilegio degli illusionisti che voglio farci credere che siamo in guerra, i mesi futuri non saranno più semplici. Anzi saranno, oltre che duri e difficili, anche avvelenati. Cerchiamo di avere una percezione sana e reale degli eventi, per non farci portare ancora una volta là dove non vogliamo.