Nuto Revelli, protagonista e testimone dell’Italia contemporanea – atti del convegno

Pubblicato il n. 96 della rivista Il presente e la storia

Di Gianluca Cinelli

Nonostante il blocco delle attività e della vita quotidiana imposte dall’autorità politica come misura di contrasto all’epidemia, l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea in Provincia di Cuneo “Dante Livio Bianco” è riuscito a portare avanti il lavoro della cultura pubblicando il nuovo numero della rivista Il presente e la storia, il n. 96, nel quale sono raccogli gli atti del convegno internazionale “Nuto Revelli. Protagonista e testimone dell’Italia contemporanea”, svoltosi a Cuneo il 5-6 ottobre 2019.

In quell’occasione, 27 studiosi, giornalisti, giovani ricercatori, scrittori e amici di Nuto Revelli, si sono raccolti nel contesto delle celebrazioni del centenario della nascita dello scrittore per ricordare l’importanza e la validità, oltre che l’attualità, del suo lavoro. Ne esce un volume che accanto al ricordo e alla celebrazione del personaggio riprende alcuni temi e aspetti metodologici dell’opera di Nuto Revelli, per riflettere sulla loro efficacia, ripetibilità in altri contesti storici e sociali, e sulla necessità di tornare a riflettere sull’approccio che questo scrittore aveva nei confronti della realtà, della storia e della ricerca, che per lui era un modo diverso di fare politica fuori dai partiti. Oggi, in un’epoca di virtualità e di graduale ma costante allontanamento intergenerazionale, con la conseguente perdita di memoria storica e di una sempre più consistente esposizione alla falsa informazione, ai facili miti propagandistici e a una netta rinuncia alla partecipazione politica e civile, l’esempio e le parole di Nuto revelli agiscono come un monito a non rinunciare al pensiero critico e alla ricerca paziente della verità, la quale si annida tra le cose e nelle forme di vita, anche le più umili e dimesse, periferiche, emarginate. Nuto Revelli ci ricorda che nessuno deve essere lasciato indietro nel momento del bisogno e della difficoltà, men che mai in nome di logiche economiche più o meno ciniche o opportunistiche.

Testimone e protagonista egli stesso della guerra fascista (cui aveva partecipato come ufficiale degli alpini in Russia nel 1942-1943) e della Resistenza antifascista (come comandante di una formazione partigiana GL dal 1943 al 1945), Revelli continuò per tutta la vita a riflettere sull’eredità della guerra, sulle sue conseguenze sociali, e dedicò gran parte della sua attività di intellettuale a interrogarsi sul prezzo pagato dai deboli per le “grandi” cause della nazione. I deboli, cioè tutti quelli che vengono relegati fuori dalla cultura della “società che conta”, quella dei colti che decidono per tutti, ma spesso perseguendo interessi e privilegi di casta. Revelli credeva che una società che abbandona i deboli nelle sacche di miseria sia malata e indegna di essere chiamata civile e democratica. Parole che risuonano urgenti oggi, davanti a una crisi che presto produrrà masse di poveri, che indebolirà il ceto medio, che esporrà moltissime persone al pericolo di cadere lungo la via, nella corsa (spesso dissennata e comunque insostenibile) al benessere capitalistico e consumistico.

In questi giorni, in cui l’Europa ha visto per un attimo concretizzarsi una grave minaccia alla sua integrità, questo monito risuona urgente e attuale, perché la solidarietà effettiva (non quella nominale, delle buone intenzioni), quella che pone le persone come fini e non come mezzi, è il pilastro della buona vita in una comunità democratica. Guardare indietro a uno scrittore poco incline alle chiacchiere intellettualistiche, eticamente attento al reale e capace di indignarsi di fronte all’ingiustizia, sarà forse una delle opportunità che abbiamo per ripensare un futuro diverso.

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