La paura e il governante

Ottobre è corso via rapidamente, proprio come i mesi spensierati dell’estate, quando si guardava da lontano e con un’alzata di spalle agli Stati Uniti e al Brasile, dove il virus impazzava. Da noi era tutto tranquillo, si era tornati quasi alla normalità, senza mascherine e senza distanziamento, se non in via formale, e la bella stagione permetteva di restare all’aria aperta, insieme, felici. Eppure i contagi c’erano, altroché. La Sardegna, rimasta quasi inviolata durante la crisi dell’inverno, registrava un alto numero di casi, tutti portati dai turisti che si accalcavano sui traghetti e nei locali esclusivi della Costa Smeralda. E così arrivava settembre, con i primi brividi e la sensazione che qualcosa non era proprio in ordine come sembrava. Non era certo il contagio di gente come Briatore e Berlusconi il motivo di preoccupazione, bensì il ritorno a scuola, nell’incertezza, con i presidi affannati in cerca di aule che non c’erano, di banchi singoli che non arrivavano, di insegnanti che coprissero le cattedre. Far ripartire la scuola sembrava l’unica priorità del Paese, ma in che modo e con quali mezzi nessuno al ministero di Viale Trastevere lo aveva capito.

A settembre abbiamo scoperto che i mesi intercorsi tra la sospensione delle restrizioni, a maggio, e l’inizio del nuovo anno scolastico, niente era stato fatto. I mezzi pubblici erano quelli di prima, gli spazi nelle scuole erano gli stessi, i problemi logistici quelli di sempre, e a questi si erano aggiunti i rompicapo delle norme anticontagio, del distanziamento, della didattica a distanza: chi la farà, in quale percentuale, con quali turni di rotazione, con quali mezzi? Ovviamente, i politici incompetenti hanno affidato la soluzione dei problemi ai presidi, i quali, temendo di essere travolti e di finire al manicomio, sono diventati in molti casi più realisti del re. Di fronte al rischio di paralizzare nella burocrazia ogni aspetto della vita scolastica, non è rimasto che ricorrere alla solita vecchia soluzione: affidare tutti agli insegnanti, si salvi chi può, i generosi diano tutto e si sacrifichino, i furbi e gli scaltri si imboschino, quel che sarà sarà. Gli studenti, disorientati e intossicati dalla paura che respirano ovunque, non sanno come comportarsi, le direttive sono assurde, i mezzi non ci sono, spesso neanche i famosi banchi singoli, perciò si procede in molti casi alla didattica mista: metà classe in aula, metà a casa, poi si ruota a turno. Prima ogni giorno, poi di settimana in settimana, con il risultato che nella discontinuità molti perdono il ritmo, non ingranano, non studiano. Gli insegnanti, sommersi sotto il compito di dover gestire i due canali didattici, impazziscono per capire come svolgere le prove, assegnare compiti, assicurare un uguale livello didattico per tutti. E poi i mezzi tecnici non ci sono, o non funzionano, o non bastano. Si è promesso questo e quello, ma spesso gli insegnanti devono connettersi con i propri account internet e su questi fa confluire tutti i loro studenti. Infine, nel contesto tragicomico, ci sono casi in cui le aule risultano troppo piccole per il numero complessivo di studenti in banchi doppi, finché arrivano i banchi singoli, e allora, miracolosamente, la stessa aula di prima, risulta sufficientemente grande per accoglierli tutti. Miracolo all’italiana.

E così, siamo arrivati a ottobre e un fenomeno improvviso e strano si è materializzato davanti alle nostre coscienze: il virus è tornato e circola, i contagi salgono a centinaia ogni giorni, poi a migliaia. Il numero dei morti resta contenuto, però, e così quello delle terapie intensive. I tamponi fatti ogni giorno sono molti di più di quanti se ne facessero a marzo, quando i contagi erano più numerosi, ma stavolta, rispetto ad allora, la grande differenza sta nell’età dei contagiati e nella percentuale altissima di asintomatici. In continuità con la tendenza dell’estate, il virus mostra di non avere mai smesso di circolare, eppure non sembra avere la stessa forza che tanti lutti ha causato a marzo e aprile. Tuttavia, sia pur tra mille acrobazie verbali che lo negano, ci troviamo oggi già alle soglie del lockdown. O meglio, il mini-lockdown, che suona più carino e meno lugubre.

Giugno, luglio, agosto, settembre, quattro mesi. 120 giorni a disposizione per il governo e le Regioni per organizzare piani efficaci di contrasto al virus in previsione della risalita dei contagi in autunno. 16 settimane per approntare nuove aule, magari usando le troppe e inutili caserme vuote che infestano questo Paese; per sistemare e potenziare il sistema dei trasporti pubblici nelle grandi città. Alla fine di questo periodo tanto prezioso quando ignobilmente sciupato tra inutili attese, procrastinazioni, riunioni tecniche e dibattiti insulsi, oggi i ristoratori, i gestori di cinema e teatri, i proprietari di palestre e circoli sportivi che non fossero già stati abbattuti dal lockdown di aprile, si vedono tagliare le gambe dall’imposizione di nuove restrizioni.

I governanti non hanno fatto niente, e il poco che hanno finto di fare è stato comunque un inutile fallimento. Il popolo paga. Se le cose dovessero restare così come previste dall’orribile decreto legge del 25 ottobre, al 23 di novembre saranno fallite migliaia di aziende. Considerando che la cassa integrazione della primavera ancora non è stata pagata per migliaia di lavoratori, che cosa resterà? Gli strozzini e il racket della mafia, oppure la disperazione che mette le persone dietro alle armi. S’è percepito un assaggio dell’ira che potrebbe esplodere nelle strade, a Napoli, e si sta per vedere il seguito in altre città di tutta Italia. I poliziotti e i carabinieri che ostinatamente difendono il torto dei nostri politici inetti e arroganti, ne faranno esperienza a proprio danno.

Tutti contro tutti, in basso, mentre i politici, responsabili del disastro cui stanno definitivamente avviano l’Italia si nascondono dietro a due pollici: il parere degli esperti, gente mai vista e sentita prima, ma miracolosamente assurta al rango di luminari, tanto che si permettono di dire tutto e il contrario di tutto, negando oggi quel che han detto ieri; e la paura, il caro, vecchio alleato dei politici incapaci. Impaurisci la plebe, fai gridare ogni giorno dai giornali e dalla tv che gli ospedali sono pieni e al collasso, che si muore giovani, che l’unica protezione consiste nel farsi imporre un nuovo lockdown, minacciando misure peggiori e più crudeli (non ci sarà il Natale!, neanche avessimo il Grinch al capo del governo). Questa ricetta ha funzionato a marzo e aprile, ha salvato la faccia dei nostri politici nascondendo per un momento la loro mancanza di capacità.

Dopo le vacanze estive, che come un oppioide hanno allentato per un po’ la tensione, i nostri governanti non trovano di meglio di riproporre la stessa minestra di marzo: chiudere tutto, muoia il virus con tutti gli untori, i malati, i positivi, gli asintomatici, i pensionati e i disoccupati, i cassintegrati e le partite iva. Il vero scandalo è che questa gente che ci governa non solo non sa niente della vita del cittadino comune, poiché vivono su un altro piano di esistenza fatto di privilegi: del cittadino e dei suoi problemi non gliene importa niente. E quando il presidente della Repubblica afferma che il vero nemico è il virus, mente sapendo di mentire, perché il vero nemico sono questi politici che in modo stupidamente criminale stanno condannando la popolazione a morire non di covid ma di povertà e disperazione.

Ma stavolta dovranno stare attenti. A marzo e aprile lo shock e la sorpresa hanno avuto un effetto paralizzante, ma adesso tutti sappiamo che cosa ci aspetta, i docili saranno pochi. La situazione potrebbe scappare di mano, non importa quanto poliziesca sarà la risposta dello Stato.

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