
Da tutto mi sciolgo… (2014)
Da tutto mi sciolgo senza cerimonia
ma non da te che visiti
la mia inquieta veglia
negletta dal sacro priva d’acrimonia
al riparo dai visi
risuonante conchiglia
alle tue mani capaci mi affido
al tuo istinto d’uccello di passo
fa che io possa lasciare il nido
o mi si faccia la carne di sasso.
L’attesa (2014)
Già sembra marzo
nel cuore dell’inverno
Piazza del Popolo
è rosa e adesso è blu
grigie le cupole
sopportano l’eterno
sciama la gente
e non s’aspetta niente
ma io da te
m’aspetto tutto il resto.
Migranti (2014)
Livido verde fra il rosso e l’oro
il bosco trema nel vento crudele
che lo dirada
la nebbia molle ingolfa i colli
nel cuore inquieto di presagi
di un’altra vita
senza riposo vaganti nel mondo
strane chimere ci chiamano a sé
da un altro tempo
ci addentriamo nel sogno a ritroso
imprigionati in umana parvenza
falsa partenza.
Il naufragio (2014)
Quieto il mare dispiega nottetempo
sui melanconici lugubri toni
delle sue abissali melodie
racconti interminabili d’infauste
discese nei suoi flutti tenebrosi
cantano le balene d’infelici
destini uditi dai fondi melmosi
quando la luna smorza le maree
dove lo scoglio rugoso affiora
e la risacca come un pianto
singhiozza gorgoglia e lascia affiorare
i resti dello schianto.
S’appressa il sole spegne il fanale
caliginoso alto sulla rupe
il guardiano del faro lento scende
nel ventoso nitore del mattino
geme e s’addensa in pigre volute
nero un gorgo lucido di spettri
travolti senza nome.
Raro un motore intorbida i flutti
reca il bottino esiguo e luccicante
della pesca notturna disturbata
dal mare mosso e da un presentimento
come di grida disperse dal vento.
Un giorno nella vita (2014)
Non uso più la sveglia
è rimasta in Irlanda
bagaglio in sovrappiù
l’avranno già buttata
anch’io mi faccio vecchio
ma non scartarmi ancora
ho cose da finire.
Freschissimo mattino
mi lascia frastornato
son brutte le notizie
ma come tu le dici
già fanno meno male
sospeso al tuo sorriso
c’è altro da finire.
Nel metrò siamo tanti
è l’odore pungente
chiuse le facce stanche
vi guardo con disgusto
non ho per voi amicizia
avete cuori duri
ho voglia di finire.
Poi nelle vie del centro
ripullula la folla
impuro formicaio
ed indistinto sale
suono inarticolato
come un’empia preghiera
nel buio va a finire.
Ripartiremo ancora
un giorno come tanti
speriamo di arrivare
già troppi quelli che
tra flutti senza nome
riposano annegati
son cose da finire.
Mattina (2014)
La luce m’ha atteso anche oggi
fra l’ombra del corridoio
e lo strazio del cortile
dove l’alba leggera spiccava distinti
echi di voci e d’opere distanti,
liminali presenze d’un tempo
che mischia malamente
il palese e la rivelazione.
Chiama il mattino con voce di merlo
contrappuntata dal breve gutturale
grugnito del piccione
e si stira impudico fra i panni stesi al sole
il gatto dal manto striato
con la grazia naturale del demente,
eppure un potere imminente
e minaccioso si sfrangia in cifra
come un ringhiare
digrignante d’invisibili denti.
Sicuri di sé escono dall’ombra
i volti della disumana gente
gonfi di morte come annegati:
l’inferno siete voi, è la vostra presenza
che non conosce differenza
tra un inferno e l’altro,
che infesta le notti insonni
anche se tace assente.
Solitudini (2014)
I.
Un’acqua monotona che s’ingola
nel buio sotterraneo
e lì s’addensa
e più che scorrere sembra che cola
grumo sottocutaneo
di sofferenza.
II.
Scia di motori nel cielo o sul mare
stracciata dai flutti e dai venti violenti
segno di rotte perdute nel nulla
di separazioni amare
di confusi ricordi sonnolenti
con cui l’anima vuota si trastulla.
III.
Stanze deserte su corridoi vuoti
voci distanti ronzio di ventilatori
ombre di luce transitano lente
appesi alle porte antichi voti
succhia una mosca da rossi carnosi fiori
grandi pupille s’offuscano spente.
IV.
Grida d’aiuto gorgoglianti in fondo al pozzo
volti intravisti oltre un vetro una notte d’estate
tu che non torni o che resti a guardare
la resina dolorosa del ramo mozzo
e non ti chiedi quando e dove sono state
con strazio estratte queste stille amare.
Pesci rossi (2014)
Serica la luce del primo pomeriggio
avvolgeva il giardino d’oriente
dove vanno a morire ai lati della rosa
del mondo tutte le esistenze solitarie
presso la loggia di lacca vermiglia
coi draghi sui tetti ricurvi
sotto il cui sguardo si varca la soglia.
Lungo il sentiero di pietrisco grigio
intuivo il disfarsi d’ogni cosa
e il loro rigenerarsi costante
in infinite forme bizzarre e varie.
Scuotendo uno spettro distratto la ramaglia
un frullo nero innalzò dal ginepro
e me distolse dalle forme vuote
per altra rivelazione
fu lì che m’avvidi dei curvi dossi
annuncio iridescente d’immortalità
dei pesci rossi.
Nell’acqua limacciosa e senza tempo
tracciano in cerchio rotte imperscrutabili
dove tutto ritorna sempre uguale
ignaro del bene e del male
partecipe del chiaro e dell’oscuro.
Potessi stendermi fra voi su un letto d’alghe
dove i ricordi dileguano nel silenzio
e l’impeto si smorza delle passioni
dormirei sotto l’acqua torbida d’assenzio
come un dio sarei imperturbabile.
Ma tornerebbe nei sogni memoria
e desiderio che spezza il cuore
di un’altra vita amata perduta
ed intrappolato io pietra sul fondale
invidierei il vostro lento navigare.
Orrore mi colse del disumano
mi volsi e ti rividi e sorridevi
così ripercorsi a ritroso il sentiero
e riprendemmo insieme le nostre
imprevedibili rotte terrene.
Presenze (2014)
È vero che il bosco serba memoria
di tutte le stagioni del lavoro
delle generazioni e del passaggio
delle truppe straniere dei predoni
incisa nel paesaggio
guarda quell’uomo emerso dal fitto
trascina gravi ceppi e fascine
girerà le cascine per smerciare
il faggio stagionato non fa fumo
bensì profuma d’inverno e di muschio
son dodici soldi al quintale
è un buon affare qualcuno gli offre
anche un bicchiere e un libro di poesie
per le notti più lunghe.
Già che di notte le bestie son deste
il capriolo sale con il tasso
fino alle prime luci del villaggio
sventra i giardini il cinghiale occhio giallo
lo fiuta il cane impaurito e tace
il gatto sul ciglio del davanzale
che scruta nell’ombra autunnale
le forme confuse e misteriose
di spettri reincarnati
che ti richiamano col cupo tu
del gufo guardiano dell’ancestrale.
Capre (2014)
Immerso nell’arido paesaggio
un sentiero bianco di sassi sgretolati
calava silenzioso nella gola
battuta dal vento di mare
sotto la spirale di due avvoltoi
annuncio d’imperscrutabile transito
da un piano all’altro del mondo
là dove la soglia è per metà già antro
e s’offusca la vista stupefatta.
Nello splendore del meriggio
restammo sul ciglio soltanto noi
ascoltavamo il vento nella gora
e il suo cigolio come una grande mola
che sbriciolava i resti diroccati
d’antiche fortezze e monasteri.
Fu lì sul precipizio
che ci sorprese lo sguardo obliquo e dorato
delle immobili capre
araldi eraclitei del vero sacro.
Colline in agosto (2014)
Su tutto l’azzurro canto dei merli
e frinire tra i meli di cicale
dove il grigio si vena d’argento
nell’uliveto di scorza antica
e bruna si scalda la terra al sole
tutto si volge in rinnovato amore
anche la nube che il vento sospinge
dalla pianura e sui colli s’addensa
trascolorando nel cielo la calura
in abbacinata rivelazione.
Un rombo cupo rotola dal monte
levando turbini di cose morte
flagellerà la pioggia, sfregerà
l’elettrica forza della tempesta
il pino secolare che cadrà
di schianto spargendo i rami intorno
senza parole il tutto opprime
l’esile muraglia dell’illusione
che al nostro andare s’attenda il ritorno.
Distanti senza danno si dileguano
sui faggi le ombre grigie della pioggia
appena trema un brivido nell’aria
lassù sulla cresta del colle calvo
non croci di Calvario ma selvaggia
canea non si sa se d’uomini o bestie
berciando s’aggroviglia in forme nuove
e imparo daccapo la meraviglia
del mondo rinato senza martirio.
Montagne d’autunno (2014)
Dondola il suono di vacche all’alpeggio
sotto il grigio che cala alla valle
come un sospiro di noia senile
chiama ricordi di vite lontane
vissute o sciupate alla meno peggio
guardate dall’alto di chiuse altane
né si sa dire se da prigionieri
vi riposammo inquieti ieri
o se vegliammo tese sentinelle.
Rosso nel giallo il bosco scolora
imputridisce il fondo muschioso
e le parole non sono più cose
ma sofferenti idoli sgretolati
e come un fruscio sinuosa canora
risuona quaggiù fra i porticati
una risacca ma arida e petrosa
denso respiro d’una rancorosa
dea trascurata e vendicativa.
Ritorno (2014)
Sotto un grappolo di nuvole
d’oro si veste l’estate
e cupezze silvestri inghirlandano i campi
dove arsi sentieri
intessono la tela
d’una rivelazione
dalle spighe e dalle foglie
e dall’intrico del rovo
esala il respiro d’un sonno inviolato
ma di stupore lo fa sussultare
un colpo di bufera
che squassa l’erba in flutti
lampeggiando all’orizzonte
il cielo freme e s’unisce alla terra.
Nell’arco d’un ricordo tutto si tiene
le terre viste e quelle sognate
le facce care in una torma
grigia di ombre mute
che vogliono qualcosa
ci resteranno male
del conto che non torna.
Ombre che siete il peso delle cose
quando sul ciglio vi vedo spiccarvi
in volo col merlo fra rami
gonfi di frutti o col gabbiano
gelido araldo di terre e di flutti
sento di nuovo che tutto è santo
anche questo immemore ingorgo
dove il paesaggio è quello che resta
d’innumerevoli corrispondenze
perdute e non più ritrovate
colpa innocente ed inespiata
nel cuore del gorgo fate buon viaggio.
Città di confine (2014)
In una città di confine
tutto ha due facce e lingua biforcuta
l’albergo Crouche d’or sembra piuttosto
una vecchia pensione
per viaggiatori soli
finiti là durante un temporale.
È gonfio di pioggia il canale
si dice sia uscito anche il Reno
speriamo non chiudano il ponte
ultimo passaggio
per un ritorno che è ancora un esilio.
Disorientarsi per poi ritrovarsi
quale crudele taglione
per un uomo antiquato!
Messo in parole ogni dio è profano
ma che ne sa il pellegrino
che guarda il menù con un groppo in gola
pâté de foie-gras con i crauti
sopra un letto di patate
il cuoco fa di nome Prométhée
come quel primo incendiario
che si vantava saper cucinare.
Settembre (2010)
Sparge le fronde rade
il libeccio salmastro
e nel volo le foglie
alle rondini mostrano la via
lontano dal vecchio ligustro
che m’ingannava col suo sempreverde.
La bestia (2010)
Dal nulla è sorta la bestia
tozza compatta marmorea screziata
sembra confitta
come un’antica colonna nel suolo
un’ombra di muschio ne vena
il dorso poroso
ove s’afferra il piccione
caprone d’antica pazienza
in riva al fiume nomentano
ma com’è strano
lo sormonta un anello incatenato
come a trattenerlo
avvinto al tempo umano.
La crepa (2014)
Sul muro in fondo a una cella gelata
deserta staglia la luna
nera la crepa dell’anima mia
da cui non sgorga più nulla.
Le fronde già paiono rade… (2010)
Le fronde già paiono rade,
eppure l’estate ci parve eterna
finché scesero le prime piogge
su resti di falò spariti in fumi.
Si torna in città, si chiudono le logge,
coi fiori sciupati sul ciglio di cortili
deserti, polvere di strada:
dove si andrà difficile è a dirsi,
la luna d’autunno segna vaga la via.
Torino(2006)
Alle tue brume ritorno
con cuore oppresso
e sempre estraneo
ai tuoi castagni dai ricci bruni
ai tuoi caduchi cascami
di fabbriche e foglie autunnali.